Nel 2017 ce n’erano poco meno di 6.400. Oggi il censimento di Areu arriva a 13.500
Defibrillatori automatici esterni più che raddoppiati in 4 anni in Lombardia: nel 2017, Areu ne censiva poco meno di 6.400, mentre oggi se ne contano 13.500 a cui va aggiunto un 10-20% di Dae non dichiarati. Considerando solo i numeri ufficiali dell’Azienda regionale di emergenza urgenza, sul territorio regionale c’è un Dae ogni 740 abitanti, con una diffusione omogenea in rapporto alla popolazione presente. Molti? Pochi? Nel caso di un arresto cardiaco, il defibrillatore è utile se è possibile trovarlo nelle vicinanze: maggiore è la diffusione, maggiore è la probabilità di averne uno a portata di mano in caso di necessità. A fare la parte del leone è il Milanese, con quasi 3.900, seguito da Brescia con 2.650 e Bergamo con quasi 2mila. Le città capoluogo sono quelle con una maggiore diffusione, ma anche nei luoghi turistici c’è una rete capillare: tra le due sponde del Lario se ne contano un centinaio, circa 180 tra i comuni della sponda bresciana del Garda, 370 tra le valli Bergamasche.
Numeri destinati a crescere, anche sull’onda emotiva del caso di Eriksen (giocatore danese salvato grazie alle corrette manovre di primo soccorso), che ha creato una rinnovata attenzione al tema. In corso c’è anche l’iter per il ddl 1441, che prevede lo stanziamento di 10 milioni di euro per dotare i luoghi pubblici di nuovi Dae, l’obbligo per le società sportive e l’introduzione a scuola dell’insegnamento delle manovre di rianimazione cardiopolmonare, oltre che l’immunità per chiunque utilizzi defibrillatori. "In Italia è richiesta una formazione specifica per usare un Dae – spiega Domenico Pecora, responsabile dell’Unità Elettrofisiologia dell’ U.O. Cardiologia di Fondazione Poliambulanza – anche se sono molto semplici da utilizzare, grazie al cartoon guida. Il corso serve soprattutto per le operazioni preparatorie". Se i defibrillatori sono utilissimi per intervenire in caso di arresto cardiaco, la manovra davvero insostituibile è, però, il massaggio cardiaco. "Non si può lasciare il paziente senza massaggio per andare a prendere il defibrillatore – avverte Pecora – l’ideale sarebbe che ci fossero due soccorritori. Nel caso in cui ci si trovi da soli a gestire una situazione del genere, dopo aver chiamato il 112, bisogna dedicarsi al massaggio cardiaco del paziente. Gli operatori del 112 sono molto bravi a dare istruzioni su come fare".
L’incidenza di arresto cardiaco in Italia è di 1 ogni 1.000 abitanti all’anno (50mila in Italia), con sopravvivenza del 2% senza interventi. Secondo studi recenti, con una defibrillazione fatta sotto i 4 minuti dall’arresto, la percentuale di sopravvivenza senza danni al cervello è vicina al 100%. "Disabilità e morte sono tempo-correlate – aggiunge Pecora – un intervento rapido fa al differenza. Tuttavia la popolazione deve essere edotta sull’arresto cardiaco. Nel caso del giocatore Eriksen, ad esempio, si è parlato di malore per descrivere il momento in cui è caduto per terra senza ripararsi. In realtà, questo è l’esempio classico di arresto cardiaco". Riconoscere i sintomi, assicurarsi che la persona non respiri più, verificare che non abbia in bocca oggetti (un gioco nei bambini, cibo per chi è a tavola) sono le prime operazioni da fare (in pochi secondi, oltre ad avvisare il 112), prima di iniziare il massaggio cardiaco, con almeno 100 compressioni energiche al minuto sul torace. "Se la persona è incosciente, non bisogna aver timore di provocare delle fratture – conclude Pecora – una costola rotta si può riparare, ma è fondamentale che la persona resti in vita".