Nel mondo circa 18 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie cardiache. Di queste, circa4,5 milioni sono colpite da morte cardiaca improvvisa, 60.000 solo in Italia. Di cosa si tratta? Quali sono le cause di morte cardiaca improvvisa e cosa si può fare?
Si tratta di un evento letale che accade in un soggetto che nelle 48 ore precedenti non abbia dato alcun segno di patologia, e in cui il decesso sia avvenuto entro un'ora dalla manifestazione dei sintomi.
«La morte cardiaca improvvisa – spiega Silvia Giuliana Priori, professore ordinario di cardiologia all’Università degli Studi di Pavia – può essere causata da aritmie che sono rappresentate, ad esempio, da fibrillazione ventricolare o asistolia. Nel primo caso il battito è talmente rapido che il cuore non riesce a completare il ciclo di riempimento e, di conseguenza, eseguirà soltanto dei piccoli movimenti contrattili incapaci di far circolare il sangue. La asistolia, invece, porta ad arresto cardiaco in quanto il cuore, non avendo più attività elettrica, diventa incapace di contrarsi. In entrambi i casi, la causa di decesso è l'inadeguato approvvigionamento di ossigeno ai tessuti periferici, in particolare al cervello».
La morte cardiaca improvvisa si manifesta con lo svenimento, causato proprio dalla mancanza di ossigeno (anossia) a livello cerebrale. Per capire se un paziente sia deceduto di morte cardiaca improvvisa o di una morte di altra causa, è necessario l’esame autoptico che, tuttavia, viene effettuato solo in una minoranza dei casi. L’autopsia è in grado di determinare se l'evento aritmico si sia manifestato in un tempo breve e quindi si possa definire come una “morte improvvisa”.
Le cause della morte improvvisa, dipendono anche dall'età del paziente. «In soggetti di età inferiore ai 35 anni – chiarisce Silvia Giuliana Priori –, ovvero bambini, adolescenti e giovani adulti, le cause genetiche sono molto frequenti e possono causare sia cardiomiopatie, sia malattie dei canali ionici. Fra le malattie acquisite che portano a morte improvvisa in età giovanile vanno ricordate le miocarditi, che sono infezioni del muscolo cardiaco. È interessante osservare come ci sia un picco di eventi di morte cardiaca improvvisa nel primo anno di vita. Questi decessi possono essere causati sia da patologie genetiche, sia da patologie acquisite e, spesso, vengono classificati con il termine di “morte in culla”, rappresentata da un decesso improvviso in assenza di sintomi».
«Per i soggetti di età superiore ai 35 anni – prosegue la professoressa Priori – il substrato più comune che porta alla morte improvvisa è quello della malattia coronarica che predispone all’insorgenza di un infarto. Anche per queste patologie può esserci una predisposizione genetica, tuttavia, è necessario un periodo di alcuni decenni prima che si formi la placca aterosclerotica che può quindi causare un infarto che, a sua volta, porta a morte aritmica. L’infarto determina la morte delle cellule del cuore portando alla formazione di una “cicatrice” nel tessuto cardiaco che predispone all’insorgenza di aritmie. Inoltre, la conseguenza più comune dell’infarto miocardiaco è rappresentata dalla perdita della capacità contrattile di una parte del cuore. Si determina, pertanto, una condizione chiamata insufficienza cardiaca che è associata a tassi elevati di morte cardiaca improvvisa.
Lo svenimento è un sintomo molto importante che deve essere riferito al medico curante affinché possa valutarne le possibili cause. È opportuno ricordare che uno svenimento può essere causato da fattori quali l’abbassamento della pressione, spesso in concomitanza di cambi di postura quali alzarsi troppo rapidamente dalla posizione sdraiata, oppure dopo essere stati sdraiati al sole per lungo tempo. Anche la mancanza di zuccheri causata da un digiuno può portare a perdita dei sensi. Questi fattori non espongono al rischio di morte improvvisa e fanno parte delle “sincopi benigne”. Quando allora lo svenimento deve essere interpretato come campanello di allarme nei confronti della morte cardiaca improvvisa? «Lo svenimento sospetto – chiarisce Silvia Giuliana Priori – è quello che avviene, ad esempio, durante attività fisica, anche moderata, oppure quello conseguente a una forte emozione. In questo caso sono da tenere particolarmente d’occhio episodi ripetuti di svenimenti da parte di ragazzini che cadono improvvisamente a terra privi di sensi a seguito della sgridata da parte di un genitore o un insegnante. Queste situazioni devono essere riportate a un cardiologo».
La valutazione clinica, svolta a scadenze regolari, dei soggetti che svolgono attività agonistica, ha un ruolo importante nell’individuazione dei pazienti a rischio di presentare morte cardiaca improvvisa. «Per scoprire le due classi di patologie più importanti che causano morte cardiaca improvvisa genetica nel giovane, si utilizzano l’elettrocardiogramma, che può evidenziare malattie genetiche dei canali ionici che causano difetti nella propagazione dell’impulso elettrico nel cuore, e l’ecocardiogramma che può individuare le cardiomiopatie ereditarie, malattie del muscolo che può presentare diverse alterazioni (ipertrofia, assottigliamento, infiltrazione di fibrosi o grasso). Spesso, è il medico di medicina dello sport che sospetta la presenza di una patologia aritmica ed è quindi in grado di indirizzare i pazienti a centri specialistici. Qui, qualora venga confermato il sospetto di malattia genetica, viene eseguita un'analisi per valutare se vi sia un gene alterato che causa una specifica malattia. Se il paziente risulta positivo, la diagnosi si considera confermata, si può definire un percorso terapeutico mirato per il paziente, e controllare anche i suoi familiari. Diversi pazienti vengono inviati agli specialisti cardiologi proprio dalle medicine sportive e, a volte, anche gli atleti professionisti possono essere portatori di patologie genetiche che possono restare occulte e palesarsi improvvisamente con un’artimia grave».
Esiste una patologia genetica chiamata cardiopatia aritmogena, causata da un'alterazione di speciali proteine chiamate “desmosomiali” che tengono le cellule cardiache adese l'una all’altra, in modo tale che possano contrarsi simultaneamente. Nei soggetti affetti da cardiopatia aritmogena, le cellule si distaccano leggermente e questo allontanamento provoca infiammazione e fibrosi che genera cicatrici nel cuore che, come nel caso dell’infarto, predispongono allo sviluppo di gravi aritmie. L’'esercizio fisico intenso accelera e aggrava lo sviluppo di questa patologia.
A seguito di diagnosi di patologie predisponenti alla morte cardiaca improvvisa, si può intervenire farmacologicamente o con impianto di defibrillatori sottocutanei. In presenza di un gene alterato che causa aritmia si usano i farmaci antiaritmici quali ad esempio la chinidina per malattie come la sindrome di Brugada o la sindrome del QT corto. Nella sindrome del QT lungo o nella tachicardia ventricolare catecolaminergica, patologie in cui l’innervazione cardiaca è iperattiva, vengono somministrati i farmaci beta-bloccanti che riducono le conseguenze della stimolazione nervosa sul cuore, prevenendo le aritmie. Per le cardiomiopatie, invece, vengono utilizzati farmaci in grado di rallentare la progressione della malattia, come gli ACE inibitori.
Quando il paziente non risponde efficacemente alla terapia farmacologica e presenta forme avanzate di aritmie con svenimenti frequenti, si può procedere all’impianto di defibrillatori posizionati fra due fasce muscolari e dotati di cateteri. Nel defibrillatore transvenoso sono localizzati all’interno del cuore, mentre nei defibrillatori sottocutanei sono posizionati sotto la cute del torace. La scelta della tipologia di defibrillatore si basa sulla patologia specifica che causa le aritmie e sul tipo di aritmie che il paziente presenta. Sarà quindi il cardiologo a suggerire al paziente il tipo di defibrillatore più idoneo.
La sopravvivenza dei soggetti che presentano un arresto cardiaco dipende dalla rapidità degli interventi di soccorso. La tempestività del massaggio cardiaco e la disponibilità dei defibrillatori semiautomatici sono gli elementi che possono migliorare significativamente la probabilità che un soggetto sopravviva senza presentare danni neurologici gravi. «Sarebbe molto importante – conclude la professoressa Silvia Giuliana Priori – che venissero promossi corsi di rianimazione cardiopolmonare ai giovani, anche a partire dalla scuola media e superiore. Imparare a praticare il massaggio cardiaco, anche in assenza di defibrillatore, può aiutare a tenere in vita un paziente in attesa dei soccorsi. La respirazione bocca a bocca, che è sempre stata considerata un deterrente all’esecuzione delle manovre di rianimazione cardiopolmonare, oggi non è più ritenuta un elemento indispensabile. Le linee guida pongono al centro del primo soccorso l’esecuzione corretta del massaggio cardiaco. Un altro elemento importante per ridurre la mortalità nei soggetti con arresto cardiaco è quello di diffondere l’insegnamento all’uso corretto dei defibrillatori semiautomatici. Sempre più spesso questi apparecchi sono presenti nei parchi e nelle strade, ma la loro disponibilità, in assenza della formazione della popolazione sul modo corretto di utilizzarli, rende solo marginalmente efficace lo sforzo speso a posizionarli nelle nostre città».