Uno studio danese dimostra che il 58% dei pazienti che hanno subito un arresto cardiaco improvviso avevano richiesto un consulto medico nelle due settimane precedenti all’episodio. Cogliere i campanelli di allarme potrebbe salvare molte vite
Improvviso fino a un certo punto. In realtà il 58% delle persone che hanno subito un arresto cardiaco improvviso hanno consultato un medico o si sono recati in strutture sanitarie nelle due settimane che hanno preceduto l’episodio. I sintomi riferiti variano dall’affanno, al dolore al petto alle palpitazioni. Fatto sta che più delle metà delle persone vittime di un episodio considerato inaspettato hanno segnalato in anticipo qualche tipo di malessere.
Se questi segnali venissero interpretati come campanelli di allarme di un arresto cardiaco, molte vite potrebbero essere salvate.
È la conclusione a cui giunge uno studio danese presentato al Congresso dell’European Society of Cardiology.
Quando l’arresto cardiaco avviene al di fuori di un ospedale, le possibilità di sopravvivere sono poche. Se i soccorsi non arrivano entro pochi minuti, resta in vita meno del 10% delle vittime.
«L’elevata mortalità per arresto cardiaco nella popolazione sottolinea la necessità di identificare le persone a rischio. Ma è un’attività molto impegnativa poiché questi episodi sono considerati eventi improvvisi e inaspettati. Il nostro studio indica però che i pazienti che i pazienti si sono sentiti male nei giorni precedenti l'arresto cardiaco», ha dichiarato Nertila Zylyftari dell'ospedale universitario di Copenaghen Herlev e Gentofte, di Hellerup, in Danimarca ch ha presentato lo studio.
I ricercatori hanno selezionato dal Danish Cardiac Arrest Registry tutti i pazienti che hanno avuto un arresto cardiaco al di fuori dell’ospedale tra il 2001 e il 2014 e hanno cercato di scoprire quanti di loro avessero contattato il proprio medico o una struttura ospedaliera nel periodo precedente all’episodio.
Nel periodo di osservazione sono stati segnalati circa 29mila casi di arresto cardiaco in persone dall’età media di 72 anni. I ricercatori hanno calcolato la percentuale di visite al medico di famiglia richieste dai pazienti in ogni settimana dell’anno precedente all’episodio. Così è emerso un dato particolarmente degno di attenzione: in media la percentuale dei pazienti che si era rivolta al proprio medico era del 25% per ogni settimana dell’anno che ha preceduto l’arresto cardiaco tranne che nelle due settimane immediatamente precedenti all’episodio, quando la percentuale saliva al 54% (nello stesso periodo la percentuale di pazienti che richiedeva una visita medica nella popolazione generale era del 14%).
Lo stesso andamento è stato osservato negli ospedali: nei primi sei mesi dell’anno il dato degli accessi è rimasto stabile, con un 3% di contatti a settimana. Ma nelle due settimane prima dell’arresto cardiaco le richieste di aiuto hanno registrato un picco salendo a 6,8% (erano il 2% nella popolazione generale).
Mettendo insieme tutti i contatti (medico di famiglia, ospedale o entrambi) effettuati nelle due settimane prima dell'arresto cardiaco, si arriva a osservare che il 58% dei pazienti con arresto cardiaco aveva avuto un contatto con i servizi sanitari rispetto al 26% della popolazione generale.
«Da quanto è a nostra conoscenza, questo è il primo studio a calcolare i tentativi delle vittime di arresto cardiaco di ottenere aiuto da medici e ospedali durante l'anno che precede l'evento e a confrontarli con la popolazione generale. Abbiamo dimostrato che la percentuale di pazienti che hanno contattato medici di base e ospedali aumentava ad ogni settimana durante l'anno prima del loro evento rispetto alla popolazione generale. È stato sorprendente vedere che nelle due settimane che hanno preceduto l'arresto cardiaco c'è stato un aumento dei contatti soprattutto con il proprio medico», ha commentato in conclusione Zylyftari.