Uno studio americano conferma che se il sintomo maggiore è il fiato corto, il rischio di morte aumenta del 20%
Chi durante un infarto manifesta fiato corto (dispnea) ha maggiore possibilità di morire rispetto a chi sente solo dolore al torace o sincope. Lo dimostra uno studio presentata al Congresso Acute CardioVascular Care 2022 della Società Europea di Cardiologia (ESC).
Lo studio, condotto in Portogallo, ha preso in esame i dati di oltre 4.700 pazienti con più di 18 anni di età che, in base al registro nazionale delle sindromi coronariche acute, erano stati ricoverati per infarto NSTEMI tra il 2010 e il 2019. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi in base al sintomo principale che avevano avuto: il dolore toracico era il più comune (4.313 pazienti; 91%), seguito da dispnea/affaticamento (332 pazienti; 7%) e sincope (81 pazienti; 2%). I ricercatori hanno quindi confrontato i tassi di sopravvivenza tra i tre gruppi a un anno dall'infarto e rilevato che tra chi aveva avuto come principale singolo la dispnea/stanchezza il rischio di morte era quasi il 20% più alto.
«I risultati evidenziano la necessità di considerare non solo il dolore toracico come sintomo predominante per una possibile diagnosi di infarto del miocardio» ha spiegato Paulo Medeiros, medico presso l'ospedale di Braga e autore dello studio. Nel dettaglio, solo il 76% dei pazienti nel gruppo dispnea/stanchezza era vivo dopo un anno rispetto al 94% del gruppo con dolore toracico e al 92% del gruppo sincope. I ricercatori hanno evidenziato come questo tipo di sintomatologia sia più frequente nelle persone più in là con gli anni.
Un altro studio, pubblicato su Hypertension, rivista dell'American Heart Association dà indicazioni sui pazienti più a rischio di subire un arresto cardiaco. Nel dettaglio chi ha una pressione sanguigna che tende a salire quando ci si alza in piedi dopo essere stati sdraiati è a maggior rischio di infarto.
La ricerca ha preso in esame 1.207 persone con ipertensione incluse nel progetto Harvest, uno studio prospettico iniziato in Italia nel 1990. Prima della ricerca, tutti i partecipanti, di età compresa tra 18 e 45 anni, erano stati stimati a basso rischio di eventi cardiovascolari maggiori, ma a un follow-up a 17 anni erano stati registrati un totale di 105 eventi cardiovascolari maggiori (i più comuni erano infarto, dolore toracico correlato al cuore e ictus). Analizzando i dati, i ricercatori hanno osservato che le persone la cui pressione sistolica aumentava di oltre 6,5 mmHg alzandosi in piedi, avevano più probabilità di andare incontro a un grave evento cardiaco rispetto a coloro che, alzandosi in piedi, mantenevano una pressione sistolica più bassa.
Tipicamente, infatti, la pressione sanguigna sistolica scende leggermente quando ci si alza in piedi: come dimostra il fatto che tra gli altri partecipanti, alzarsi in piedi portava a una diminuzione della pressione sistolica in media di 3,8 mm Hg. In particolare, nel gruppo di persone in cui si erano registrati i maggiori aumenti di pressione quando erano in posizione eretta, il rischio di infarto era doppio.
Sulla base dei risultati osservati, i ricercatori sottolineano l'importanza di misurare la pressione sanguigna in piedi negli adulti giovani e di mezza età con ipertensione e di considerare la possibilità di sottoporre a trattamento precoce coloro che hanno la pressione sanguigna elevata quando assumono la posizione eretta.