Arresto cardiaco: il rischio aumenta con i picchi di polveri sottili

Uno studio realizzato in Giappone ha rivelato un aumento degli arresti cardiaci in coincidenza con i picchi di concentrazione di PM2.5 nell'aria. Questo incremento riguarda in particolare la popolazione anziana, che risulta maggiormente vulnerabile agli effetti delle polveri sottili.

L'inquinamento atmosferico può causare gravi problemi al cuore, compreso l'arresto cardiaco, una delle principali cause di morte in Italia con 60.000 decessi ogni anno. Questo evento è spesso innescato da aritmie che portano il cuore a fermarsi, e nuove ricerche suggeriscono che anche l'esposizione alle polveri sottili (PM2.5), al monossido di carbonio (CO) e al biossido di azoto (NO2) possa contribuire a questa condizione.

L'impatto delle polveri sottili sull'arresto cardiaco

È risaputo che l'inquinamento atmosferico danneggia l'apparato respiratorio e aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. Recenti studi, tra cui uno condotto dall'Istituto Nazionale dei Tumori e dall'Humanitas di Milano, hanno rilevato un aumento degli accessi ospedalieri per problemi cardiaci durante l'inverno, in concomitanza con alti livelli di particolato (PM10) nell'aria. Un altro studio, realizzato da ricercatori dell'Università di Sydney e pubblicato su The Lancet Planetary Health, ha approfondito ulteriormente questa connessione. Analizzando i dati relativi a oltre 249.000 casi di arresto cardiaco in Giappone tra il 2014 e il 2015 e confrontandoli con i livelli di PM2.5, i ricercatori hanno evidenziato una chiara correlazione tra l'aumento dell'inquinamento e i casi di arresto cardiaco, specialmente tra gli anziani.

I limiti del PM2.5: ancora troppo permissivi?

Secondo lo studio, l'inquinamento ha un impatto sulla salute cardiovascolare che può protrarsi fino a 72 ore dopo l'esposizione. Sorprendentemente, il rischio di arresto cardiaco aumenta anche quando i livelli di PM2.5 rimangono al di sotto delle soglie considerate sicure dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dall'Unione Europea (10 μg/m3 come media annua e 25 μg/m3 come limite giornaliero). In Giappone, oltre il 90% degli arresti cardiaci registrati durante il periodo di osservazione si è verificato in giorni in cui i livelli di PM2.5 erano inferiori al limite giornaliero. Questo dato dimostra che, in realtà, non esistono livelli sicuri di inquinamento atmosferico. Kazuaki Negishi, cardiologo e responsabile del dipartimento di medicina dell'Università di Sydney, ha avvertito che, con il peggioramento della qualità dell'aria, è prevedibile un aumento dei casi di problemi cardiovascolari legati all'inquinamento, oltre a quelli respiratori e tumorali.

I rischi legati ai picchi di PM2.5

Nei tre giorni successivi a un aumento dei livelli di PM2.5, il rischio di arresto cardiaco aumenta tra l'1% e il 4% per ogni incremento di 10 μg/m3. Applicando questo dato al contesto italiano, dove ogni anno si verificano tra i 60.000 e i 70.000 casi di arresto cardiaco, si potrebbe prevedere un aumento di 600-2.000 casi legati all'inquinamento atmosferico. Tuttavia, questo numero potrebbe essere ancora più alto, poiché gli effetti dell'inquinamento potrebbero estendersi fino a una settimana dopo l'esposizione. Gli sforamenti dei limiti di PM2.5 sono comuni anche in diverse città del Nord Italia, rendendo questi risultati particolarmente rilevanti per la nostra popolazione.

Come il PM2.5 influisce sull'attività cardiaca

Il particolato fine (PM2.5) si dimostra più pericoloso del PM10 perché penetra più in profondità nei polmoni, arrivando fino ai bronchioli e, potenzialmente, nel flusso sanguigno. Queste particelle possono avere origine sia da fonti naturali (erosione del suolo, incendi boschivi, pollini) sia da attività umane (traffico veicolare, combustione di carburanti). L'ipotesi principale è che il PM2.5 interferisca con l'attività elettrica del cuore, portando, in alcuni casi, a un suo arresto. Questo evidenzia la necessità di prestare maggiore attenzione ai picchi di inquinanti nell'aria e di continuare a studiare gli effetti acuti e cronici dell'inquinamento sulla salute cardiovascolare.

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