Chi può usare un defibrillatore? Perché è importante che una società sportiva ne abbia uno? Le risposte del dott. Federico Semeraro, presidente IRC
In occasione del Webinar “La gara più importante: l'introduzione della rianimazione cardiopolmonare e del defibrillatore nelle società sportive” abbiamo incontrato il dott. Federico Semeraro, anestesista rianimatore presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, attualmente presidente dell’associazione IRC (Italian Resuscitation Council). Insieme abbiamo analizzato alcuni punti cruciali legati non solo all’imminente obbligo del defibrillatore per le società sportive, ma anche dubbi e perplessità sull’importanza di intervenire in caso di arresto cardiaco.
Sicuramente può fare la differenza, ma ha decisamente più forza se lo poniamo all’interno della famosa metafora della catena della sopravvivenza:
Il defibrillatore è quindi parte di un sistema integrato: usare un defibrillatore va ovviamente accompagnato al massaggio cardiaco e alla chiamata dei soccorsi.
In termini di frequenza e numerosità, l’arresto cardiaco colpisce molto meno durante l'attività sportiva che la popolazione generale nella vita di tutti i giorni. Tuttavia, durante l’attività fisica l’organismo è posto sotto stress e può svelare malattie che altrimenti rimarrebbero nascoste. Per questo motivo, la prevenzione del rischio passa attraverso due fasi:
Per quanto riguarda la visita medica, la stessa legge che obbliga al possesso del defibrillatore ha cercato di colmare la differenza che esiste tra due tipi di sportivi, i professionisti e i dilettanti.
È importante che anche i non dilettanti si sottopongano a visita medica ed eventuali esami, come consigliato dal proprio medico di base e dalla società o associazione di appartenenza.
È importante che le associazioni e le società sportive sia agonistiche che dilettantistiche indirizzino i propri aderenti ai controlli medici, oltre a dotarsi di un defibrillatore e a fare la formazione adeguata, sapere cosa fare ed essere competenti in caso di arresto cardiaco.
Fermo restando che la legge obbliga le società/associazioni sportive a dotarsi del defibrillatore e non gli impianti sportivi intesi come luoghi fisici, l’ubicazione del defibrillatore dipende dalla logistica della struttura sportiva, come di qualsiasi altra struttura. Occorre capire come far arrivare il defibrillatore nel minor tempo possibile dal punto A al punto B, usando la stessa logica che si userebbe per gli estintori. Sicuramente non serve a nulla mettere un defibrillatore in un armadietto chiuso con il lucchetto, o lasciarlo in una stanza chiusa a chiave. L’attivazione del 118/112 è fondamentale come primo anello della catena perché spesso è in grado di aiutare in remoto il testimone dell’arresto cardiaco. La stessa centrale operativa se ha disponibili le informazioni di geolocalizzazione del DAE può dare indicazioni sull’ubicazione di quello disponibile più vicino.
In un mondo ideale tutti. Nella realtà è necessario che ci sia almeno una persona formata in ogni momento in cui la sede è aperta o l’attività in corso, di qualsiasi tipo si tratti, allenamento o gara. In un’azienda ad esempio dovrebbero esserci almeno 1 o 2 persone in grado di usare il defibrillatore e fornire la rianimazione cardiopolmonare in ogni turno.
La persona ideale da formare è la persona che trascorre più tempo presso la struttura dove si svolge l’attività.
In Italia c’è una legge che impone ai non medici di essere formati per essere autorizzati all’uso del defibrillatore. Tuttavia ricordiamo che per il Codice Penale in caso di necessità, quella che si definisce come causa di forza maggiore, ognuno di noi è autorizzato a fare qualsiasi cosa per soccorrere e salvare una persona in gravissimo pericolo. Una vittima di arresto cardiaco è nel pericolo più grande immaginabile perché è un condannato a una morte certa se nessuno fa nulla e l’effetto della rianimazione cardiopolmonare e utilizzo del defibrillatore sulla sopravvivenza è tanto più utile quanto più è precoce. Pertanto, in caso di necessità, ognuno dovrebbe sentirsi autorizzato ad usarlo soprattutto se guidato telefonicamente dall’operatore del 112/118 chiamato per dare l’allarme e che ci può dare istruzioni sia su come fare la rianimazione cardiopolmonare sia su dove trovare e come utilizzare il DAE.
Quando si chiama il 118/112 per chiedere l’intervento dei soccorsi, la centrale operativa cerca di capire la situazione, chiedendo se la persona non è cosciente e non respira. Da poche semplici domande codificate l’operatore capisce se si tratta di un arresto cardiaco. Da un sondaggio che IRC ha effettuato tra le Centrali di 118/112 di tutta Italia, è emerso che in caso di arresto cardiaco il 97% delle centrali operative fornisce istruzioni per la RCP telefonica, e il 43% indica al soccorritore la presenza di un defibrillatore nelle vicinanze.
L’attivazione precoce delle centrali 118/112 permette inoltre in alcuni casi l’autorizzazione a distanza di testimoni non addestrati e certificati all’inizio delle manovre di rianimazione cardiopolmonare e all’utilizzo del defibrillatore. Da un sondaggio tra le Centrali 118/112 pubblicato da IRC viene infatti sottolineato come nel 54% dei casi viene suggerito al testimone dell’arresto cardiaco la RCP con sole compressioni. Alcuni di questi casi di aiuto a distanza includono testimoni non formati che non hanno mai effettuato una formazione specifica ma che riescono a cominciare manovre di RCP con sole compressioni perché più semplice da insegnare in tempo reale per via telefonica.
Come già accennato, l’articolo 54 del Codice Penale tutela tutti coloro che intervengono in buona fede quando costretti dalla necessità di salvare qualcuno: lo stato di necessità vuol dire che se tu non intervieni quella persona è morta.
Sarebbe bello se qualsiasi ambiente fosse cardioprotetto! Nella realtà, come consigliato dalle ultime linee guida 2015 di ERC (European Resuscitation Council), dovrebbe esserci un defibrillatore: