E' ora di cambiare la cultura dell'emergenza

In questa intervista la dottoressa Daniela Aschieri spiega perché è fondamentale investire sull'informazione.

A margine del webinair che ha recentemente condotto (“Come implementare un programma di defibrillazione precoce nelle scuole”) abbiamo incontrato la dottoressa Aschieri, Primario UO di Cardiologia Valtidone Piacenza e Presidente del Progetto Vita, per chiederle in che modo si può diffondere una più efficace cultura del primo soccorso. Ecco cosa ci ha risposto.

Partiamo dalla prevenzione: cosa si dovrebbe fare per migliorare la prevenzione e i tassi di sopravvivenza?
L'arresto cardiaco non si può prevenire se non in modo indiretto, cercando di diminuire le patologie croniche. Fumo, diabete, ipertensione, obesità, sedentarietà sono tutti fattori di rischio per le coronarie. In modo indiretto la prevenzione può prevenire l'arresto cardiaco, nella misura in cui si previene la malattia coronarica che è la causa principale della patologia. Però questo è un processo molto lungo di acculturamento sociale, il cui risultato si vedrà fra vent'anni, se riusciremo a impattare sui fattori di rischio.

Come si può insegnare la prevenzione a scuola?
Si può agire su due livelli. La prevenzione significa insegnare ai ragazzi corretti stili di vita. Credo che sia un must oggi, la vita dei nostri ragazzi è scandita da tempi stretti, mangiano male, si muovono poco, sono spesso attaccati ai computer... Bisogna forzare un pochino le loro abitudini, spingerli su un profilo igenico-alimentare diverso e migliore. Quindi la scuola ha un ruolo: come insegniamo ai ragazzi a scrivere e a leggere, così dovremmo insegnare come trattare bene il loro corpo e come non abusare di sostanze come il fumo, che sicuramente impattano sulle malattie cardiovascolari.

E poi c'è un grande lavoro da fare anche sul fronte dell'informazione...
Sicuramente, la scuola ha un ruolo fondamentale nell'informare i ragazzi che oggi ci sono strumenti e modalità di soccorso e di intervento che loro stessi possono mettere in atto. Ogni bambino dovrebbe già sapere dalle scuole elementari che chiamare il 118 è un modo per soccorrere una persona. I bambini si trovano spesso da soli con il genitore, la nonna, il nonno... Possono soccorrerli. Facciamogli utilizzare questo benedetto cellulare, che spesso usano in modo inappropriato, almeno per gestire una chiamata di soccorso. E poi la tecnologia mette oggi a disposizione degli strumenti salvavita come i defibrillatori. Non deve succedere con i bambini e i ragazzi quello che purtroppo succede ancora oggi con gli adulti, che hanno paura a usare uno strumento salvavita come il defibrillatore che si può trovare anche agli angoli della strada. Le scuole sono le palestre ideale per far sì che i bambini considerino questo strumento facile e non pericoloso. Il retaggio culturale che ancora gli adulti si trascinano blocca la nuova cultura dell'emergenza. In questo senso, la scuola deve diventare una palestra di conoscenza.

Quali altri ambienti, oltre a quello sportivo e scolastico, necessiterebbero di particolare attenzione?
L'arresto cardiaco si verifica in oltre il 75% dei casi a domicilio. Io credo che il futuro dovrebbe concentrarsi sull'uso condominiale e domiciliare di un defibrillatore. Quello che c'è oggi nei luoghi pubblici è utile, ma copre solo il 25% dei possibili casi di arresto cardiaco. Se vogliamo impattare sulla sopravvivenza dobbiamo proprio cambiare la cultura degli amministratori condominiali: diciamo loro chiaramente che il defibrillatore è una spesa equiparabile a quella dell'estintore. Avere un defibrillatore può salvare una vita. L'arresto cardiaco si verifica nelle mura domestiche, dove peraltro la maggior parte dei casi è testimoniato. I tempi di arrivo dell'ambulanza sono – e resteranno- troppo lunghi, quindi la possibilità di un intervento di quartiere o di condominio credo che sia l'immediato futuro.

C'è qualche nazione estera da cui possiamo prendere esempio?
Seattle (USA) è una metropoli che riporta dati di sopravvivenza molto alti: la cultura lì è iniziata a diffondersi negli anni Settanta, i defibrillatori si vendono nei supermercati, è già tutto un altro tipo di impostazione mentale. In Europa si sta facendo un passaggio culturale importante. Un intervento molto potente è quello che sta sviluppando il Professor Ramon Brugada a Girona (Spagna), dove con una nostra collaborazione si è creato un progetto con oltre 600 defibrillatori nei luoghi pubblici. In 2 anni hanno salvato 25 persone. In affiancamento alla diffusione degli strumenti, è stato attivato un processo culturale importante. Questo è il modello in Europa più forte. Hanno replicato il progetto gemello di Piacenza: con la differenza che noi siamo partiti 18 anni fa con 25 defibrillatori e siamo arrivati a 600 solo adesso, loro due anni fa avevano già subito 600 defibrillatori disponibili.

L'esperienza di Piacenza è replicabile nelle altre province e città italiane?
Sì. Per farlo ci vuole un buon esercito di volontari, perché le istituzioni oggi in Italia, anche per mancanza di fondi, non sono in grado di istituire e portare avanti un progetto. Si deve far capire che l'arresto cardiaco è una patologia potenzialmente mortale ma trattabile, che quindi deve essere combattuta con quello che la tecnologia ci dà, e un defibrillatore deve essere presente non solo nelle ambulanze ma a ogni angolo della città.

In prospettiva, su cosa bisognerebbe investire maggiormente?
Non ho dubbi: sull'informazione. Non tanto sulla formazione, che è un altro capitolo (formazione significa diventare abili a fare una cosa): l'informazione, attraverso pochi ed essenziali principi, può far comprendere che le cose sono cambiate e, oggi come oggi, un defibrillatore lo possono usare senza pericolo tutti. Non basta più il massaggio cardiaco ma serve avere il defibrillatore in qualunque luogo si trovi. Queste informazioni fanno sì che cambi la cultura dell'emergenza.
La scuola avrebbe in questo senso un ruolo vitale: basterebbe distribuire ai ragazzi un volantino informativo a inizio anno per raggiungere anche i genitori.


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